È una delle più imponenti operazioni mai condotte in Italia contro la pesca illegale dei datteri di mare, un business tanto redditizio quanto distruttivo per l’ambiente.
Coordinata dalla Procura della Repubblica di Trani, con il supporto della Guardia Costiera e della Polizia di Stato, l’indagine ha portato all’esecuzione di 25 custodie cautelari in carcere, 10 arresti domiciliari e numerosi sequestri di beni, locali e imbarcazioni lungo la costa tra Molfetta, Bisceglie, Trani, Barletta e Margherita di Savoia.
Nel lungo elenco di nomi spuntano anche due bitontini: Domenico Vacca, 61 anni, destinatario di una misura di custodia cautelare in carcere, e Tommaso Garofalo, 39 anni, dipendente dell’autodemolizione “Garofalo” di Bitonto.
Secondo l’ordinanza firmata dal gip Ivan Barlafante, l’inchiesta ha smantellato un sistema criminale “stabile, strutturato e organizzato con ruoli precisi, gerarchie interne e una vera filiera commerciale”. Le indagini, partite da un sequestro nel 2023, hanno permesso di ricostruire l’intera catena: dalla pesca in mare alla vendita nei ristoranti e pescherie del litorale.
Il dattero di mare (Lithophaga lithophaga) è un mollusco protetto da oltre vent’anni: per estrarlo, i pescatori frantumano le rocce sottomarine, provocando un danno irreversibile ai fondali.
L’ordinanza parla di “disastro ambientale permanente e irreversibile”, con oltre il 60% dei fondali campionati distrutti e una perdita stimata “tra 819 e 1.269 organismi marini per metro quadrato”. Il giudice scrive che “ogni colpo di martello sugli scogli equivale alla cancellazione di un ecosistema che non potrà più rigenerarsi nei tempi umani”.
Le intercettazioni raccontano il linguaggio in codice usato dai pescatori di frodo: “Ogni sera si fa la giornata”, “Portamene tre da mezzo chilo”, “So pien le datter, so gross”.Dietro quelle frasi, una routine consolidata, con turni, natanti dedicati e zone di raccolta divise come in un’azienda.
I molluschi venivano rivenduti anche a ristoranti e stabilimenti balneari, a prezzi tra 40 e 60 euro al chilo.
La rete, secondo gli inquirenti, arrivava fino alle pescherie e ai ristoranti del litorale, dove il mollusco veniva rivenduto tra 40 e 60 euro al chilo. In alcuni casi, spiega il gip, “l’organizzazione operava con veri e propri turni di lavoro e punti di raccolta fissi, ripartendo ruoli e zone di mare come in una struttura aziendale”.
Sul piano ambientale, le relazioni tecniche parlano di un “disastro ecologico su scala regionale”: nelle aree analizzate tra Molfetta, Bisceglie e Trani i segni di raccolta illegale arrivano al 63% dei fondali, con una perdita stimata “tra 819 e 1.269 organismi marini per metro quadrato”. Per estrarre i datteri, le formazioni calcaree vengono frantumate a colpi di martello, cancellando l’habitat naturale di intere comunità biologiche. “L’azione distruttiva – conclude il gip – influisce sulla resilienza stessa dell’ecosistema, rendendolo fragile e incapace di rigenerarsi nei tempi umani”. Un danno che, secondo gli investigatori, “ha trasformato un tratto di costa in una cava sottomarina, spogliata di vita”.

















