Rammaricato, deluso, rattristato.
Al termine burrascoso del consiglio comunale di ieri sera, mi sentivo proprio così. Svuotato di tutto.
Non aggiungo retorica a retorica, ci mancherebbe. Però, più osservo lo stemma della nostra Bitonto e più sono sgomento da quel che è accaduto nella massima (?) assise cittadina. E ripenso al fatto che, forse, bisognerebbe modificarlo, inserendo una lastra metallica al posto della chioma fogliata neroverde, con i due leoni giustamente “lingentes” i glutei dei potenti che ne determineranno l’esiziale mutamento.
Dunque. Si doveva discutere la questione relativa all’impianto fotovoltaico in località “Pozzo delle Grue“. Ben 2100 ulivi espiantati con la promessa – che, lo abbiamo scoperto nel bel (?) mezzo degli interventi, giammai sarà mantenuta – di reimpiantarli in altro sito: una strage che non poteva registrare indifferenza, insensibilità, lontananza, come testimoniato dalle non poche assenze fra i banchi della maggioranza. Ma transeat.
Abbiamo ascoltato le relazioni delle associazioni ambientaliste eroiche, che vivono il nostro territorio sempre, non solo quando ci sono pur drammatiche emergenze. Poi, tutti – ognuno a suo modo – hanno esposto le loro posizioni con passionali e dotte disquisizioni, ma tutto non cambiava di una virgola la realtà: un cimitero di tronchi divelti e rami spezzati che sono la nostra anima stuprata da interessi economici. Punto, non altro.
Anzi, no. Emergeva, altresì, che, seguendo questo iter – regolarissimo, per carità, ma fortemente prendingiro -, nuove richieste simili arriveranno e altri ettari di terra nostra alberata rischiano di trasformarsi in una distesa algida di impianti pronti a sfruttare il sole e il vento. Senza dimenticare quante piante protette (non proprio bene, bisogna ammettere) da Pallade Atena già sono state sacrificate al Dio danaro per allungare la pista di atterraggio dell’aeroporto “Wojtila” di Palese e altre presto moriranno in contrada Locone.
No, non ci siamo affatto. E sentire parlare con giustificatoria indulgenza della Zona ASI che per trenta – diconsi trenta – anni non ha assolto alla sua missione, quando comunque tanti consiglieri sgomitavano per entrare nel direttivo, mi ha fatto sorridere, giusto per non piangere.
Infine, quando si doveva addivenire ad una conclusione condivisa, la sospensione forzata, i lavori bruscamente intertotti per clamorosa mancanza di numero legale, le parole di scuse, tanto indignate quanto timide, del presidente dell’emiciclo, il discorso finale del sindaco, pieno di malinconia, che assicurava ai presenti qualcosa che nessuno ha registrato perché era tutto finito già da venti minuti e nisba diretta.
Pochi hanno capito che era in ballo il futuro – l’aggettivo lo scegliete voi: economico, sociale, etico, politico, agricolo, energetico, culturale – della nostra comunità.
Io so solo che nel nostro icastico dialetto per indicare il condimento di una insalata, si usa questa formula: “‘Na làrma d’ùgghie“, “una lacrima d’olio“. Una delle migliaia, invisibili e dolorosissime, piante dai nostri ulivi strappati crudelmente dalla loro culla color tabacco e versate, tonfando sorde, nella palude di silenzio, nella quale intorpidisce la nostra città, giorno dopo giorno…